COMMENTO dello scriba Valdemir Mota de Menezes:
Le informazioni che seguono qui sotto sono tratte da Wikipedia. Ci rendiamo conto che questo paese chiamato l'Egitto ha subito numerose influenze straniere nel corso della sua storia. Le tre persone che più hanno influenzato la formazione d'Egitto sono stati i Greci, i Romani e infine gli arabi. Ma l'antico Egitto, che esisteva prima di questi governanti stranieri, è ancora quello che affascina gli storici.
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Storia dell'Egitto greco e romano
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Le conquiste di Alessandro Magno portarono l'Egitto nell'orbita del mondo greco. Dopo circa tre secoli di dominio da parte della dinastia tolemaica, fu incorporato nello Stato romano (30 a.C.), alla morte di Cleopatra VII, dopo la sconfitta ad Azio. Alla morte di Teodosio I (395) l'Egitto entrò definitivamente a far parte della Impero romano d'Oriente fino alla conquista araba del 641.
Índice
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• 1 Egitto tolemaico
o 1.1 Tolomeo I Soter
o 1.2 Tolomeo II
o 1.3 Tolomeo III
o 1.4 Declino dei Tolomei
o 1.5 Gli ultimi Tolomei
1.5.1 Il Regno tolemaico d'Egitto (51-30 a.C.) di Cleopatra VII
• 2 Egitto romano
o 2.1 Dominazione romana
• 3 Egitto bizantino
• 4 Bibliografia
• 5 Voci correlate
• 6 Altri progetti
• 7 Collegamenti esterni
Egitto tolemaico
Tra il 332 e il 331 a.C. Alessandro Magno, re di Macedonia, dopo una sterile resistenza da parte dei Persiani, conquistò l'Egitto, dove fu accolto come un liberatore. Infatti, era in quel paese africano che il giogo persiano era maggiormente avvertito e meno accettato. Alessandro ricompensò gli Egiziani riordinando l'amministrazione: abbandonando il modello delle satrapie persiane, fino ad allora da lui adottato per i territori conquistati, vennero nominati due governatori indigeni, Petisi e Doloaspi. L'amministrazione delle finanze fu invece affidata a un greco residente in Egitto, Cleomene di Naucrati. Ai macedoni e ai greci al seguito di Alessandro e ai membri della sua corte furono assegnate solo cariche militari, ma non civili.
Alessandro dimostrò inoltre grande rispetto per gli dei del paese, visitò Menfi e si recò fino all'oasi di Siwa nel deserto libico, dove esisteva un celebre santuario oracolare del dio Amon (assimilato dai Greci a Zeus). Il responso oracolare lo dichiarò qui figlio del dio, offrendogli un punto di partenza per l'istituzione di un culto divino per il monarca.
Nella regione del Delta del Nilo, decise la fondazione della nuova capitale Alessandria d'Egitto, la prima delle molte città a cui diede il suo nome. Nel 331 partì per la spedizione contro i Persiani.
In seguito alla morte di Alessandro nel 323 a.C., il suo impero fu diviso tra i suoi generali. Tolomeo, figlio di Lago, uno dei più stretti collaboratori di Alessandro, fu nominato satrapo dell'Egitto, e presto si autoproclamò sovrano, anche se non prese il titolo di re fino al 305 a.C. Come Tolomeo I Sotere ("Salvatore") fondò la Dinastia tolemaica, la quale regnerà sull'Egitto per 300 anni. Tutti i sovrani di sesso maschile della dinastia ebbero il nome "Tolomeo". Poiché i re tolemaici adottarono l'usanza egizia di sposare le loro sorelle, molti sovrani regnarono congiuntamente alle loro spose, che erano di stirpe reale. La famosa Cleopatra fu la sola regina tolemaica a regnare da sola, dopo la morte del fratello-marito Tolomeo XIII.
I primi Tolomei costituirono una monarchia assoluta in continuità con la tradizione faraonica e rispettarono le credenze religiose e le usanze degli Egiziani, costruendo nuovi templi per le divinità egizie. Tolomeo I riformò l'amministrazione del paese, senza alterarne le antiche abitudini e conservando la tradizionale distinzione tra Alto e Basso Egitto. Il paese era diviso amministrativamente in nomoi, a capo dei quali c'era il nomarca, a cui Tolomeo affiancò lo stratego greco. Dall'inizio del III secolo a.C. migliaia di veterani macedoni e greci furono ricompensati con assegnazioni di terre in Egitto e coloni greci si stabilirono nei villaggi di tutta la regione. L'Alto Egitto, più lontano dal centro del governo, fu meno interessato dall'immigrazione greca, finché Tolomeo I non fondò la colonia greca di Tolemaide per farla diventare la capitale della regione. I Greci, comunque, rimasero sempre una minoranza privilegiata nell'Egitto tolemaico. Costoro ricevevano un'educazione greca ed erano cittadini delle città come se fossero stati in Grecia. Gli Egiziani furono di rado ammessi ai più alti livelli della cultura greca.
] Tolomeo I Soter
Il primo periodo del regno di Tolomeo I fu dominato dalle guerre tra i vari stati sorti dalla divisione dell'impero di Alessandro. L'obiettivo primario di Tolomeo fu di tenere salda la posizione dell'Egitto, e secondariamente di incrementare i domini egiziani. In pochi anni assunse il controllo di Libia, Palestina e Cipro. Quando Antigono I, re della Siria, tentò di riunire l'impero di Alessandro, Tolomeo prese parte alla coalizione contro di lui. Nel 312 a.C. alleato con Seleuco I, il sovrano di Babilonia, sconfisse Demetrio I, figlio di Antigono, nella battaglia di Gaza.
Nel 311 a.C. fu conclusa una pace tra i contendenti, ma nel 309 a.C. la guerra scoppiò di nuovo. Tolomeo occupò Corinto ed altre parti della Grecia, anche se perse Cipro dopo una battaglia navale nel 306 a.C. Antigono tentò poi di invadere l'Egitto, ma non vi riuscì. Nel 302 a.C. vi fu un'altra coalizione contro Antigono, alla quale partecipò Tolomeo. Quando Antigono fu sconfitto ed ucciso nella Battaglia di Ipso nel 301 a.C. Tolomeo ottenne la Palestina. In seguito Tolomeo non prese parte ad altre guerre, anche se riconquistò Cipro nel 295 a.C. Nel 290 a.C. circa intraprese i lavori di costruzione del Museo e della Biblioteca di Alessandria. Avendo dato sicurezza la regno, Tolomeo nel 285 a.C. associò al regno e designò come successore il figlio avuto dalla terza moglie Berenice, escludendo il primogenito Tolomeo Cerauno. Morì nel 283 a.C. all'età di 84 anni, lasciando al figlio un regno stabile e ben governato.
Tolomeo II
Tolomeo II Filadelfo successe al padre come re d'Egitto nel 283 a.C. Fu impegnato nella Prima Guerra Siriaca contro i Seleucidi in Celesiria (c. 276-271 a.C.) e nella cosiddetta Guerra Cremonidea contro Antigono II Gonata in Grecia. La Seconda Guerra Siriaca ebbe esito incerto e si concluse nel 253 a.C. con il matrimonio tra Antioco II e Berenice, figlia di Tolomeo. Le campagne consentirono all'Egitto di espandersi su tutto il Mar Mediterraneo orientale, avendo ottenuto il controllo delle regioni costiere di Cilicia, Panfilia, Licia e Caria. Sposò in prime nozze Arsinoe I, figlia di Lisimaco, e nel 276-275 a.C. circa si unì alla sorella Arsinoe II, aggiungendo al suo impero i possedimenti della moglie nel Mare Egeo. A lui ed ai suoi consiglieri si deve l'assetto generale del sistema burocratico del regno, basato sulla divisione del territorio in nomi, al comando di generali, controllati dal Diochetes, il primo ministro. Tolomeo istituì anche il culto del sovrano, divinizzando alcuni membri della dinastia. Inoltre arricchì ed ampliò il Museo e la Biblioteca di Alessandria.
Tolomeo III
Tolomeo III Evergete ("il benefattore") successe al padre nel 246 a.C. e sposò Berenice II di Cirenaica, che gli portò in dote la regione. Dal 246 al 241 a.C. condusse con successo una guerra contro Antioco II (la terza Guerra siriaca), in quanto questi aveva ripudiato la moglie Berenice, sua sorella. La vittoria segnò l'apice del potere dell'Egitto tolemaico, che controllava gran parte delle coste dell'Asia Minore e della Grecia. Durante il suo regno l'Egitto conobbe un momento di grande splendore ed il culto di stato del sovrano come incarnazione del dio raggiunse l'acme. L'Evergete iniziò anche la costruzione del tempio di Edfu, uno dei maggiori dell'Egitto.
Declino dei Tolomei
Nel 221 a.C. Tolomeo III morì e gli successe suo figlio Tolomeo IV Filopatore. Antioco III il Grande mosse una serie di attacchi in Palestina, nel 221 e durante la quarta Guerra siriaca, che iniziata nel 219 ebbe termine nel 217 con la vittoria egiziana nella Battaglia di Rafia. Ciononostante l'Egitto conobbe un periodo di rivolte interne, che portarono alla costituzione, verso il 208, del regno indipendente della Tebaide.
Tolomeo V Epifane, figlio di Tolomeo IV ed Arsinoe III, fu collega del padre probabilmente a partire dal 210, anno della sua nascita. Essendo ancora piccolo, alla morte del padre, il governo fu retto dai suoi tutori. All'interno scoppiarono rivolte che durarono due decenni, mentre sul fronte esterno Antioco III invase nuovamente la Palestina fino alla sua definitiva conquista nella battaglia di Panion nel 200 circa (quinta Guerra siriaca). Contemporaneamente Filippo V di Macedonia si impossessò delle isole dell'Egeo e delle città della Tracia, fatto che provocò l'intervento di Roma e la seconda Guerra macedonica. Nel 197 a.C. Tolomeo fu dichiarato maggiorenne ed intorno al 194 a.C. sposò la principessa seleucide Cleopatra I. Sul fronte interno, continuarono le rivolte in Tebaide, riconquistata nel 186 a.C., e nel Delta. In politica estera Tolomeo strinse rapporti di amicizia con i Romani.
Nel 180 a.C. gli successe il figlio Tolomeo VI Filometore. Essendo un bambino, regnarono al suo posto prima la madre Cleopatra I, e alla sua morte, avvenuta nel 176, due tutori. Nel 170 a.C. Antioco IV Epifane invase l'Egitto, depose il Filometore e si fece incoronare re d'Egitto (169 a.C.). La cosa provocò una rivolta ad Alessandria, dove fu proclamato re il fratello di Tolomeo, con il nome di Tolomeo Evergete II, detto il Fiscone. Quando Antioco si ritirò, i due fratelli governarono insieme alla sorella Cleopatra II per alcuni anni sotto il controllo di Roma. Nel 164 il Filometore fu cacciato, ma tornò l'anno dopo, cedendo al fratello Cirene e la Libia. Nel 155 Tolomeo VI sconfisse definitivamente il fratello. Dopo una fortunata campagna iniziata nel 150, venne nominato re seleucide insieme con Demetrio II. Morì in battaglia nel 145 a.C.
Gli ultimi Tolomei
Dopo il breve regno del figlio di Tolomeo VI, Tolomeo VII Neos Filopatore, nel 144 a.C. divenne re Tolomeo VIII. Sposata la sorella Cleopatra II, dopo due anni la ripudiò per sposare la figlia di lei Cleopatra III. Intorno al 130 a.C. Cleopatra II costrinse il fratello a lasciare l'Egitto e a rifugiarsi a Cipro. Da qui l'Evergete tornò nel 127. Alla sua morte, avvenuta nel 116, presero il potere Cleopatra III e suo figlio Tolomeo IX Sotere II (Latiro). Questi, dopo aver accettato come correggente il fratello Tolomeo X Alessandro I, dovette fuggire dall'Egitto nel 107. In seguito alle morti della madre e del fratello, riconquistò il regno nell'88 e lo tenne assieme alla figlia Cleopatra Berenice, fino alla morte avvenuta nell'80. Il suo successore Tolomeo XI Alessandro II, figlio di Tolomeo X, non regnò a lungo. Dopo che ebbe ucciso la matrigna e moglie Cleopatra Berenice, fu assassinato dagli Alessandrini nello stesso anno in cui era salito al trono. Il suo testamento, probabilmente falso, lasciava l'Egitto a Roma.
Sempre nell'80 a.C. divenne sovrano un figlio di Tolomeo IX, Tolomeo XII Neo Dioniso (Aulete). L'Egitto era di fatto un protettorato di Roma, che si impadronì della Libia e di Cipro. Nel 58 a.C. Tolomeo XII fuggì a Roma, in seguito ad una rivolta della popolazione di Alessandria, ma tre anni più tardi i Romani lo restaurarono al potere. Morì nel 51 a.C., lasciando il potere al piccolo figlio Tolomeo XIII, che regnò insieme alla sorella e moglie Cleopatra VII.
Il Regno tolemaico d'Egitto (51-30 a.C.) di Cleopatra VII
In questo periodo il Regno d'Egitto fu uno dei più acerrimi nemici di Roma, e la sua regina, Cleopatra, che sperava di dominare sull'intero Mediterraneo, fu uno dei personaggi più pericolosi per il nascente impero romano. Durante il regno di Cleopatra la storia egiziana si fuse con la storia generale del mondo romano, anche per l'assassinio di Pompeo in Egitto nel 48 a.C.. Dopo la morte del giovane Tolomeo XIII, sconfitto in battaglia da Caio Giulio Cesare nel 47 a.C., fu nominato collega e marito di Cleopatra suo fratello Tolomeo XIV. Nel 44 a.C. Cleopatra lo fece uccidere e regnò insieme al presunto figlio di Giulio CesareTolomeo XV Cesarione. In seguito Cleopatra si alleò con Marco Antonio, e sembrò che l'Egitto stesse diventando una nuova potenza Mediterranea, grazie soprattutto alla Donazione di Alessandria, con la quale Antonio cedette all'Egitto numerosi territori orientali romani e Cleopatra ebbe il titolo di Regina dei Re. Tuttavia l'esercito egizio e flotta tolemaica di Cleopatra, appoggiati dall'esercito di Antonio, subirono la sconfitta ad opera di Ottaviano nella battaglia di Azio del 31 a.C.. Scappata in Egitto con 60 navi, qui si uccise, dopo che Ottaviano aveva vinto le ultime resistenze e conquistato il paese. Poco prima si era suicidato Marco Antonio. Con la caduta di Alessandria, avvenuta il 1 agosto del 30 a.C., l'Egitto divenne una provincia di Roma, retta da un praefectus Alexandreae et Aegypti, scelto nell'ordine equestre. Con la morte di Cleopatra VII, si estinse la dinastia tolemaica e finì l'età cosiddetta ellenistica, iniziata nel 323 a.C. con la morte di Alessandro Magno.
Egitto romano
Il principale interesse romano per l'Egitto era costituito dall'approvvigionamento di grano per l'annona della città di Roma. L'amministrazione romana della provincia d'Egitto si stabilì ad Alessandria, sede del prefetto; Roma introdusse nuovi funzionari, nuove forme di tassazione, abolì i titoli di corte tolemaici e l'autonomia della capitale, che perse la sua Bulè; diverse e sostanziali furono le modifiche apportate al sistema tolemaico di governo, tanto che la storiografia più recente parla senza dubbio di Egitto Romano, distinto dall'Egitto Tolemaico. I Greci continuarono a lavorare nella maggior parte degli uffici amministrativi; come tutto l'Oriente ellenistico, greca rimase la lingua utilizzata nella provincia. Il latino, al contrario, si mantenne vivo in ambito militare. Anche la cultura e l'educazione rimasero greche durante il periodo romano. Durante la dominazione romana il commercio con l'India avviato da Tolomeo I subì una grande accelerazione, diventando un'importante risorsa per l'impero.
Dominazione romana
Il primo prefetto d'Egitto, Gaio Cornelio Gallo, portò l'Alto Egitto sotto il controllo di Roma con un intervento militare e stabilì un protettorato sul distretto della frontiera meridionale, che era stata abbandonata dagli ultimi Tolomei. Il secondo prefetto, Elio Gallo, organizzò una spedizione non riuscita per conquistare l'Arabia: la costa egiziana del Mar Rosso non fu controllata dai Romani fino al regno di Claudio. Il terzo prefetto, Publio Petronio, bonificò dei canali di irrigazione, dando il via ad una ripresa dell'agricoltura.
L'Egitto provincia romana nel 120
Dal regno di Nerone in poi, l'Egitto conobbe un'era di prosperità che durò circa un secolo. I maggiori problemi incontrati riguardarono i conflitti religiosi sorti tra Greci ed Ebrei, in particolar modo ad Alessandria, che in seguito alla distruzione di Gerusalemme nel 70 divenne il centro mondiale della religione e della cultura ebraica. Sotto Traiano vi fu una rivolta ebraica, sfociata nella repressione degli Ebrei di Alessandria e nella perdita di tutti i loro privilegi, anche se in seguito vennero rapidamente ripristinati. Adriano, che visitò due volte l'Egitto, fondò Antinopoli in memoria del suo favorito Antinoo. Da allora in avanti furono eretti edifici in stile greco-romano in tutta la regione.
Sotto Marco Aurelio l'eccessiva tassazione condusse gli Egiziani ad una rivolta (139), che fu repressa solo dopo alcuni anni di combattimento. Questa Guerra Bucolica causò gravi danni all'economia e segnò l'inizio del declino economico dell'Egitto. Avidio Cassio, che fu a capo delle armate romane nella guerra, si autoproclamò imperatore, e fu riconosciuto dagli eserciti di Siria ed Egitto. All'avvicinarsi di Marco Aurelio, comunque, fu deposto ed ucciso, e la clemenza dell'imperatore restaurò la pace. Una rivolta simile scoppiò nel 193, quando Pescennio Nigro fu proclamato imperatore alla morte di Pertinace. L'imperatore Settimio Severo, nel 202, diede una costituzione ad Alessandria ed alle capitali provinciali.
L'evento più rivoluzionario nella storia dell'Egitto romano fu l'introduzione del Cristianesimo nel II secolo. Dapprima esso fu vigorosamente osteggiato dalle autorità romane, che temevano le discordie religiose più di ogni altra cosa in un paese nel quale la religione aveva sempre goduto di una notevole importanza. Comunque la nuova religione fece presto seguaci tra gli Ebrei di Alessandria. Da questi passò rapidamente ai Greci, ed in seguito si diffuse tra gli Egiziani dell'interno, senza che l'antica religione opponesse molta resistenza.
Caracalla (211-217) concesse la cittadinanza romana anche ai Greci d'Egitto. Nel III secolo vi fu una serie di rivolte militari e civili. Sotto Decio, nel 250, i Cristiani subirono le prime persecuzioni, ma la loro religione continuò a diffondersi. Durante il regno di Gallieno, il prefetto Emiliano si fece proclamare imperatore dall'esercito, finché il legato di Gallieno, Teodoto, non lo sconfisse. Poco dopo Zenobia, regina di Palmira, invase e conquistò l'Egitto, ma nel 272 Aureliano pose fine alla rivolta contro Roma. Due generali di stanza in Egitto, Marco Aurelio Probo e Domizio Domiziano, organizzarono con successo delle rivolte e furono proclamati imperatori. Diocleziano nel 296 sconfisse Domizio e riconquistò Alessandria. In seguito l'imperatore riorganizzò il paese, dividendolo in tre province, poi diventate quattro. L'editto di Diocleziano del 303 contro i Cristiani fu l'inizio di una nuova era di persecuzione. Ma questo fu l'ultimo serio tentativo di frenare la crescita della religione cristiana in Egitto.
Egitto bizantino
Il regno di Costantino vide la costituzione di Costantinopoli come nuova capitale dell'Impero, e nel corso del IV secolo esso fu diviso in due, con l'Egitto che si ritrovò nella parte orientale. Durante i secoli V e VI l'Impero Romano d'Oriente si trasformò lentamente nell'Impero Bizantino, uno stato cristiano, di lingua greca, che poco aveva in comune con il vecchio Impero Romano, che nel V secolo scomparve davanti alle invasioni barbariche. L'antica cultura egiziana fu gradualmente dimenticata: a causa della sparizione del sacerdozio pagano, nessuno riusciva più a leggere i geroglifici dell'Egitto faraonico, e i templi dell'antica religione furono convertiti in chiese o abbandonati al deserto. Anche la lingua egiziana antica poco a poco si trasformò nella lingua copta, che divenne il linguaggio liturgico del Cristianesimo egiziano.
Con l'Editto di Milano del 313, Costantino pose fine alle persecuzioni contro i Cristiani, e nel 324 fece del Cristianesimo la religione ufficiale dell'Impero. Il Patriarcato di Alessandria si era notevolmente sviluppato dai primordi del I secolo, ed Alessandria era diventata nel III secolo uno dei centri più importanti della cristianità. Non a caso fu proprio quella città ad essere protagonista del primo grande scisma del mondo cristiano, tra i seguaci del sacerdote alessandrino Ario e l'ortodossia, rappresentata da Atanasio di Alessandria. In seguito al Concilio di Nicea del 325, questi divenne arcivescovo di Alessandria e continuò la battaglia contro le idee ariane. La controversia teologica si trasformò in contesa politica, causando rivolte che interessarono gran parte del IV secolo.
La religione ortodossa non trovò, comunque, terreno fertile in Egitto per una facile diffusione. Oltre all'Arianesimo, varie eresie, come lo Gnosticismo ed il Manicheismo, trovarono numerosi adepti. Un altro fenomeno religioso, iniziato in Egitto dalle prime persecuzioni, fu il Monachesimo, caratterizzato dalla rinuncia al mondo materiale da parte di cristiani, che si recavano nel deserto per vivere da anacoreti. Nel corso del IV secolo il paganesimo perse gradualmente i suoi seguaci, fino alla definitiva scomparsa in seguito all'editto teodosiano del 389. Poco più tardi fu distrutto il celebre tempio di Serapide ad Alessandria d'Egitto, la roccaforte pagana nella regione. Alessandria, la seconda città dell'Impero, continuò ad essere al centro delle violente controversie religiose. Cirillo, patriarca di Alessandria, convinse il governatore della città ad espellere gli Ebrei nel 415. L'uccisione della filosofa Ipazia segnò la fine della cultura classica in Egitto. Un altro scisma nella Chiesa provocò una guerra civile in Egitto.
La controversia monofisita nacque dopo il Concilio di Costantinopoli del 381 e continuò fino al Concilio di Calcedonia del 451, che sancì la vittoria della posizione ortodossa. L'appartenenza della chiesa egiziana al credo monofisita creò gravi problemi a causa dell'ostilità dei rapporti tra il clero ed il prefetto, che rappresentava le idee ortodosse della corte imperiale. Sotto Zenone (474-491) vi fu una serie di deposizioni, deportazioni e condanne dei patriarchi alessandrini a favore dei vescovi nominati dall'imperatore.
La pace religiosa arrivò col regno di Anastasio (491-518), ma la situazione economica dell'Egitto era in condizioni disastrose. Lo spopolamento e la crescente miseria, dovuta in parte ad un sistema fiscale arbitrario, accompagnate dalla diffusione dei grandi latifondi a scapito delle piccole proprietà terriere, erano alcuni dei mali endemici in cui versava l'Egitto. Giustiniano (527-565) si impegnò per salvare il paese dall'anarchia, diede nuovo impulso all'attività edilizia e risolse il problema delle incursioni dei Blemmi. Alla diocesi d'Egitto subentrò una divisione in cinque eparchie, amministrate ciascuna da un governatore con funzioni civili e militari. Sotto il regno di Giustiniano scomparve anche l'ultimo baluardo pagano, il tempio di Iside a File. Ma nel 616 i Persiani invasero l'Egitto ed occuparono Alessandria. La dominazione persiana durò circa dieci anni, fino a quando le sconfitte subite in Siria ed in Mesopotamia per mano delle truppe imperiali non obbligarono i Persiani a ritirarsi. L'imperatore Eraclio riunì le cariche di prefetto e di patriarca nella persona di Ciro, le cui tendenze antimonofisite ingigantirono la frattura religiosa e politica tra l'Egitto e l'Impero.
Nel 639 un imponente esercito arabo, mandato dal califfo Omar ibn al-Khattab, passò dalla Palestina in Egitto e nel 641 conquistò Alessandria. Dopo 973 anni, finiva così la dominazione greco-romana in Egitto.
Une étude globale impliquant toute recherche scientifique visant à trouver de méthode fiable pour en savoir les histoires du passé et toujours avec un point de vue de théologique. (par historien Valdemir Mota de Menezes)
quarta-feira, 3 de agosto de 2011
ANTIGÜEDAD CLÁSICA POR WIKIPEDIA
COMENTARIO DEL ESCRIBA Valdemir Mota Menezes:
Wikipedia presenta lo mejor en la antigüedad clásica y la más clara forma para que los lectores comunes pueden tener un mínimo conocimiento de la materia. En pocas palabras, la antigüedad clásica es un período de tiempo que abarca el surgimiento y la culminación de dos grandes civilizaciones: Los griegos y romanos, y cubre un periodo que duró mil años en el siglo V A. C. el siglo V D. C. (Por: escriba Valdemir Mota Menezes)
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WIKIPEDIA
Antigüedad clásica
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La Antigüedad clásica es un término amplio que abarca un largo período en las áreas dominadas por Grecia y Roma; es decir, se identifica con el periodo greco-romano de la Edad Antigua en el mundo grecorromano: la Cuenca del Mediterráneo y el Próximo Oriente.
La Antigüedad clásica se localiza en el momento de plenitud de las civilizaciones griega y romana (siglo V a. C. al siglo II d. C.) o en sentido amplio, en toda su duración (siglo VIII a. C. al siglo V d. C.). El término se opone a la Antigüedad tardía y remite a la herencia de la civilización grecorromana. Es, sobre todo, empleado por la historiografía anglosajona para describir la Antigüedad. En este sentido, se considera que este periodo se inicia con la Ilíada, el poema griego de Homero (siglo VIII-VII a.C), el más antiguo encontrado intacto hasta nuestros días. Este periodo engloba el auge del cristianismo y el declive del Imperio romano y termina con la disolución de la cultura clásica y el principio del periodo denominado Antigüedad tardía (300-600 d. C.) y de la Alta Edad Media (500-1000 d.C).
La dimensión espacial coincide con la cuenca del Mediterráneo, extendida hacia el Oriente Próximo con el Imperio de Alejandro Magno y el Helenismo, y hacia Europa Occidental con el Imperio romano. El empleo de este término es una referencia para la Europa de los siglos XVIII y XIX, fuertemente influenciada por el clasicismo, además del neoclasicismo en su cultura, reiventándose una continuación de ese pasado por medio de una prolongación indirecta. La laxitud en torno a las ideas transmitidas por el Occidente cristiano es, pues, evidente.
El término clásico significa digno de imitación, y se deriva de la admiración por el arte, la literatura y la cultura en general de Grecia y Roma que se redescubre en el Renacimiento tras una Edad Media cuyos valores se habían desprestigiado. Lo mismo ocurrió con el Neoclasicismo, movimiento intelectual y artístico que sigue al descubrimiento de las ruinas de Pompeya a mediados del siglo XVIII.
Tal muestra amplia de historia y territorio cubre muchos periodos y culturas dispares. Por ello, la "antigüedad clásica" se refiere más que nada a una visión idealizada posterior sobre lo que era esa época. La civilización de los antiguos griegos ha sido inmensamente influyente en la lengua, política, sistema educativo, filosofía, ciencia, arte y arquitectura en el mundo moderno, volviendo durante el Renacimiento en la Europa occidental y resurgiendo nuevamente durante varios movimientos neoclásicos en los siglo XVIII y XIX.
Contenido
• 1 Grecia clásica (siglos V-IV a.C.)
• 2 Periodo helenístico (330 a 146 a. C.)
• 3 República romana (siglos V-I a.C.)
• 4 Imperio romano (siglo I a.C. al siglo V d. C.)
Grecia clásica (siglos V-IV a.C.)
Liga de Delos ("Imperio ateniense"), justo antes de la Guerra del Peloponeso en 431 a. C.
El periodo clásico de la Grecia antigua corresponde a la mayor parte del siglo V y el IV a. C. (i.e., de la caída de la tiranía en Atenas en 510 a. C. hasta la muerte de Alejandro Magno en 323 a. C.).
En 510 a. C., tropas espartanas ayudaron a los atenienses a derrocar a su rey, el tirano Hipias, hijo de Pisístrato. Tras lo cual, Cleómenes I, rey de Esparta, puso en su lugar una oligarquía pro-espartana liderada por Iságoras. Las Guerras Médicas (499-449 a. C.), que concluyó con la Paz de Calias, tuvo como consecuencia la posición dominante de Atenas en la Liga de Delos, situación que llevó a un conflicto con Esparta y la Liga del Peloponeso. La subsiguiente Guerra del Peloponeso (431-404 a. C.) terminó con una victoria espartana y el fin del dominio ateniense.
Así, Grecia entró al siglo IV a. C. bajo una hegemonía espartana. Pero, para 395 a. C., los gobernantes espartanos destituyeron a Lisandro de su cargo y Esparta perdió su supremacía naval. Atenas, Argos, Tebas (Grecia) y Corinto, los dos últimos antiguos aliados espartanos, desafiaron el dominio de Esparta en la Guerra de Corinto que tuvo un fin no concluyente en 387 a. C. Luego, los generales tebanos Epaminondas y Pelópidas ganaron una victoria decisiva en la Batalla de Leuctra (371 a. C.). El resultado de esta batalla significó el fin de la supremacía espartana y el establecimiento de la hegemonía tebana. Tebas procuró mantener su posición hasta que, finalmente fue eclipsada por el poder creciente del Reino de Macedonia en 346 a. C.
Bajo el reinado de Filipo II (359–336 a. C.), Macedonia se expandió a los territorios de los peonios, tracios e ilirios. El hijo de Filipo, Alejandro Magno (356–323 a. C.) logró extender brevemente el poder de Macedonia no solo sobre los estados-ciudad de la Grecia central, sino también al imperio persa, incluyendo Egipto y las tierras orientales tan lejos como los linderos con India. Convencionalmente, el periodo clásico termina con la muerte de Alejandro en 323 a. C. y la fragmentación de su imperio, divido entre los Diádocos.
Periodo helenístico (330 a 146 a. C.)
Artículo principal: Periodo helenístico
La Grecia clásica ingresó al periodo helenístico con el ascenso del reino de Macedonia y las conquistas de Alejandro Magno. La koiné se convirtió en la lingua franca mucho más allá de la Grecia misma, y la cultura helenística interactuó con las culturas de Persia, Asia central, India y Egipto. Se realizaron avances significativos en las ciencias (geografía, astronomía, matemáticas, etc.), en particular con los seguidores de Aristóteles (Aristotelismo).
El periodo helenístico terminó con el ascenso de la República romana a un poder supra-regional en el siglo II a. C. y con la consecuente conquista de Grecia en 146 a. C.
República romana (siglos V-I a.C.)
La extensión de la república romana en 218 a. C. (rojo oscuro), 133 a. C. (rosado), 44 a. C. (naranja), 14 d. C. (amarillo), después 14 d. C. (verde) y una extensión máxima bajo el gobierno de Trajano, 117 d. C. (verde claro).
Artículos principales: República romana y Cultura de la Antigua Roma
El periodo republicano de la Roma antigua comenzó con el derrocamiento de la monarquía romana 509 a. C. y duró más de 450 años hasta su subversión, por medio de una serie de guerras civiles, en un principado como forma de gobierno y el periodo imperial. Durante el medio milenio de la república, Roma emergió de ser un poder regional en el Latium a una fuerza dominante en Italia y más allá. La unificación de Italia bajo la hegemonía romana fue un proceso gradual, provocado por una serie de conflictos en el siglo IV y III: las Guerras Samnitas, Guerras Latinas y Guerras Pírricas.
La victoria romana en las Guerras Púnicas y en las Guerras Macedónicas establecieron a Roma como un poder supra-regional para el siglo II a. C., seguida por la adquisición de Grecia y Asia Menor. Este incremento tremendo de poder fue acompañado por inestabilidad política y malestar social, factores que llevaron a la conjuración de Catilina, la Guerra social y el primer triunvirato. Como resultado, la república romana se transformó en el imperio romano en la última mitad del primer siglo a.C.
La Antigua Roma contribuyó grandemente con el desarrollo del derecho, la guerra, el arte, la literatura, la arquitectura y el lenguaje en Occidente; y su historia continúa teniendo gran influencia en el mundo actual.
Imperio romano (siglo I a.C. al siglo V d. C.)
Artículo principal: Imperio romano
La extensión del Imperio romano bajo el mandato de Trajano, 117 d. C.
Determinar el final preciso de la república romana es una tarea de disputa para historiadores modernos;1 Los ciudadanos romanos de esa época no se percataron que la república había dejado de existir. Los tempranos "emperadores" de la dinastía Julio-Claudia mantuvieron que la res publica todavía existía, aunque bajo la protección de sus poderes extraordinarios, y eventualmente retornaría a su forma completamente republicana. El estado romano continuaba llamándose a sí mismo un res publica tanto tiempo como el que mantuvo el latín como idioma oficial.
Roma adquirió un carácter imperial de facto desde la década de 130 a. C. con la adquisición de Galia, Iliria, Grecia e Iberia, y definitivamente con la anexión de Judea y Asia en el primer siglo a.C. Al momento de la máxima extensión del imperio bajo el mandato de Trajano (117 d. C.), Roma controlaba todo el mar Mediterráneo, así como la Galia, partes de Germania y Britania, los Balcanes, Dacia, Asia Menor, el Cáucaso y Mesopotamia.
Culturalmente, el Imperio romano fue significativamente helenizado, pero también asumió tradiciones orientales sincréticas, tales como el mitraísmo, el gnosticismo y, más particularmente, el cristianismo. El imperio comenzó a declinar en la crisis del siglo III.
Wikipedia presenta lo mejor en la antigüedad clásica y la más clara forma para que los lectores comunes pueden tener un mínimo conocimiento de la materia. En pocas palabras, la antigüedad clásica es un período de tiempo que abarca el surgimiento y la culminación de dos grandes civilizaciones: Los griegos y romanos, y cubre un periodo que duró mil años en el siglo V A. C. el siglo V D. C. (Por: escriba Valdemir Mota Menezes)
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WIKIPEDIA
Antigüedad clásica
De Wikipedia, la enciclopedia libre
La Antigüedad clásica es un término amplio que abarca un largo período en las áreas dominadas por Grecia y Roma; es decir, se identifica con el periodo greco-romano de la Edad Antigua en el mundo grecorromano: la Cuenca del Mediterráneo y el Próximo Oriente.
La Antigüedad clásica se localiza en el momento de plenitud de las civilizaciones griega y romana (siglo V a. C. al siglo II d. C.) o en sentido amplio, en toda su duración (siglo VIII a. C. al siglo V d. C.). El término se opone a la Antigüedad tardía y remite a la herencia de la civilización grecorromana. Es, sobre todo, empleado por la historiografía anglosajona para describir la Antigüedad. En este sentido, se considera que este periodo se inicia con la Ilíada, el poema griego de Homero (siglo VIII-VII a.C), el más antiguo encontrado intacto hasta nuestros días. Este periodo engloba el auge del cristianismo y el declive del Imperio romano y termina con la disolución de la cultura clásica y el principio del periodo denominado Antigüedad tardía (300-600 d. C.) y de la Alta Edad Media (500-1000 d.C).
La dimensión espacial coincide con la cuenca del Mediterráneo, extendida hacia el Oriente Próximo con el Imperio de Alejandro Magno y el Helenismo, y hacia Europa Occidental con el Imperio romano. El empleo de este término es una referencia para la Europa de los siglos XVIII y XIX, fuertemente influenciada por el clasicismo, además del neoclasicismo en su cultura, reiventándose una continuación de ese pasado por medio de una prolongación indirecta. La laxitud en torno a las ideas transmitidas por el Occidente cristiano es, pues, evidente.
El término clásico significa digno de imitación, y se deriva de la admiración por el arte, la literatura y la cultura en general de Grecia y Roma que se redescubre en el Renacimiento tras una Edad Media cuyos valores se habían desprestigiado. Lo mismo ocurrió con el Neoclasicismo, movimiento intelectual y artístico que sigue al descubrimiento de las ruinas de Pompeya a mediados del siglo XVIII.
Tal muestra amplia de historia y territorio cubre muchos periodos y culturas dispares. Por ello, la "antigüedad clásica" se refiere más que nada a una visión idealizada posterior sobre lo que era esa época. La civilización de los antiguos griegos ha sido inmensamente influyente en la lengua, política, sistema educativo, filosofía, ciencia, arte y arquitectura en el mundo moderno, volviendo durante el Renacimiento en la Europa occidental y resurgiendo nuevamente durante varios movimientos neoclásicos en los siglo XVIII y XIX.
Contenido
• 1 Grecia clásica (siglos V-IV a.C.)
• 2 Periodo helenístico (330 a 146 a. C.)
• 3 República romana (siglos V-I a.C.)
• 4 Imperio romano (siglo I a.C. al siglo V d. C.)
Grecia clásica (siglos V-IV a.C.)
Liga de Delos ("Imperio ateniense"), justo antes de la Guerra del Peloponeso en 431 a. C.
El periodo clásico de la Grecia antigua corresponde a la mayor parte del siglo V y el IV a. C. (i.e., de la caída de la tiranía en Atenas en 510 a. C. hasta la muerte de Alejandro Magno en 323 a. C.).
En 510 a. C., tropas espartanas ayudaron a los atenienses a derrocar a su rey, el tirano Hipias, hijo de Pisístrato. Tras lo cual, Cleómenes I, rey de Esparta, puso en su lugar una oligarquía pro-espartana liderada por Iságoras. Las Guerras Médicas (499-449 a. C.), que concluyó con la Paz de Calias, tuvo como consecuencia la posición dominante de Atenas en la Liga de Delos, situación que llevó a un conflicto con Esparta y la Liga del Peloponeso. La subsiguiente Guerra del Peloponeso (431-404 a. C.) terminó con una victoria espartana y el fin del dominio ateniense.
Así, Grecia entró al siglo IV a. C. bajo una hegemonía espartana. Pero, para 395 a. C., los gobernantes espartanos destituyeron a Lisandro de su cargo y Esparta perdió su supremacía naval. Atenas, Argos, Tebas (Grecia) y Corinto, los dos últimos antiguos aliados espartanos, desafiaron el dominio de Esparta en la Guerra de Corinto que tuvo un fin no concluyente en 387 a. C. Luego, los generales tebanos Epaminondas y Pelópidas ganaron una victoria decisiva en la Batalla de Leuctra (371 a. C.). El resultado de esta batalla significó el fin de la supremacía espartana y el establecimiento de la hegemonía tebana. Tebas procuró mantener su posición hasta que, finalmente fue eclipsada por el poder creciente del Reino de Macedonia en 346 a. C.
Bajo el reinado de Filipo II (359–336 a. C.), Macedonia se expandió a los territorios de los peonios, tracios e ilirios. El hijo de Filipo, Alejandro Magno (356–323 a. C.) logró extender brevemente el poder de Macedonia no solo sobre los estados-ciudad de la Grecia central, sino también al imperio persa, incluyendo Egipto y las tierras orientales tan lejos como los linderos con India. Convencionalmente, el periodo clásico termina con la muerte de Alejandro en 323 a. C. y la fragmentación de su imperio, divido entre los Diádocos.
Periodo helenístico (330 a 146 a. C.)
Artículo principal: Periodo helenístico
La Grecia clásica ingresó al periodo helenístico con el ascenso del reino de Macedonia y las conquistas de Alejandro Magno. La koiné se convirtió en la lingua franca mucho más allá de la Grecia misma, y la cultura helenística interactuó con las culturas de Persia, Asia central, India y Egipto. Se realizaron avances significativos en las ciencias (geografía, astronomía, matemáticas, etc.), en particular con los seguidores de Aristóteles (Aristotelismo).
El periodo helenístico terminó con el ascenso de la República romana a un poder supra-regional en el siglo II a. C. y con la consecuente conquista de Grecia en 146 a. C.
República romana (siglos V-I a.C.)
La extensión de la república romana en 218 a. C. (rojo oscuro), 133 a. C. (rosado), 44 a. C. (naranja), 14 d. C. (amarillo), después 14 d. C. (verde) y una extensión máxima bajo el gobierno de Trajano, 117 d. C. (verde claro).
Artículos principales: República romana y Cultura de la Antigua Roma
El periodo republicano de la Roma antigua comenzó con el derrocamiento de la monarquía romana 509 a. C. y duró más de 450 años hasta su subversión, por medio de una serie de guerras civiles, en un principado como forma de gobierno y el periodo imperial. Durante el medio milenio de la república, Roma emergió de ser un poder regional en el Latium a una fuerza dominante en Italia y más allá. La unificación de Italia bajo la hegemonía romana fue un proceso gradual, provocado por una serie de conflictos en el siglo IV y III: las Guerras Samnitas, Guerras Latinas y Guerras Pírricas.
La victoria romana en las Guerras Púnicas y en las Guerras Macedónicas establecieron a Roma como un poder supra-regional para el siglo II a. C., seguida por la adquisición de Grecia y Asia Menor. Este incremento tremendo de poder fue acompañado por inestabilidad política y malestar social, factores que llevaron a la conjuración de Catilina, la Guerra social y el primer triunvirato. Como resultado, la república romana se transformó en el imperio romano en la última mitad del primer siglo a.C.
La Antigua Roma contribuyó grandemente con el desarrollo del derecho, la guerra, el arte, la literatura, la arquitectura y el lenguaje en Occidente; y su historia continúa teniendo gran influencia en el mundo actual.
Imperio romano (siglo I a.C. al siglo V d. C.)
Artículo principal: Imperio romano
La extensión del Imperio romano bajo el mandato de Trajano, 117 d. C.
Determinar el final preciso de la república romana es una tarea de disputa para historiadores modernos;1 Los ciudadanos romanos de esa época no se percataron que la república había dejado de existir. Los tempranos "emperadores" de la dinastía Julio-Claudia mantuvieron que la res publica todavía existía, aunque bajo la protección de sus poderes extraordinarios, y eventualmente retornaría a su forma completamente republicana. El estado romano continuaba llamándose a sí mismo un res publica tanto tiempo como el que mantuvo el latín como idioma oficial.
Roma adquirió un carácter imperial de facto desde la década de 130 a. C. con la adquisición de Galia, Iliria, Grecia e Iberia, y definitivamente con la anexión de Judea y Asia en el primer siglo a.C. Al momento de la máxima extensión del imperio bajo el mandato de Trajano (117 d. C.), Roma controlaba todo el mar Mediterráneo, así como la Galia, partes de Germania y Britania, los Balcanes, Dacia, Asia Menor, el Cáucaso y Mesopotamia.
Culturalmente, el Imperio romano fue significativamente helenizado, pero también asumió tradiciones orientales sincréticas, tales como el mitraísmo, el gnosticismo y, más particularmente, el cristianismo. El imperio comenzó a declinar en la crisis del siglo III.
ANTIQUITÉ CLASSIQUE - REVUE ANNUELLE
J'avoue que, malgré être en amour avec l'histoire de la période de l'antiquité classique, ne suis pas un abonné de ce journal, mais il doit contenir discussion très intéressante sur les événements de cette période. (Par: scribe Valdemir Mota Menezes)
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Antiquité Classique, L'
Published/Hosted by Association of L'Antiquité Classique. ISSN: 0770-2817.
L’Antiquité Classique est une revue annuelle, de renommée internationale, spécialisée dans le domaine de l’Antiquité grecque et romaine (de la période préhellénique jusqu’à l’Antiquité tardive ou aux aspects de la Renaissance liés aux études antiques). Elle est éditée et diffusée par l’asbl L’Antiquité Classique avec, entre autres, un soutien financier de la Fondation universitaire et du Fonds de la Recherche scientifique – FNRS.
La revue publie dans les langues usuelles de la recherche (anglais, français, allemand, italien, espagnol…) des contributions originales, soumises préalablement à l’avis d’un Comité de lecture (avec experts internationaux) : articles accompagnés d’un résumé bilingue, mélanges, varia (courts articles et notes de lecture), chroniques (review articles synthétisant sur un thème les recherches actuelles) et des recensions critiques de 300 à 400 monographies parues récemment et représentatives de la production annuelle de la discipline. Cette politique scientifique et ce concept éditorial, voulus dès 1932 par les fondateurs (tous les grands savants belges de l’époque), reçurent un accueil favorable et immédiat des plus grandes institutions internationales. L’Antiquité Classique regroupe de manière statutaire les Universités
Source:
http://journalseek.net/cgi-bin/journalseek/journalsearch.cgi?field=issn&query=0770-2817
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Antiquité Classique, L'
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L’Antiquité Classique est une revue annuelle, de renommée internationale, spécialisée dans le domaine de l’Antiquité grecque et romaine (de la période préhellénique jusqu’à l’Antiquité tardive ou aux aspects de la Renaissance liés aux études antiques). Elle est éditée et diffusée par l’asbl L’Antiquité Classique avec, entre autres, un soutien financier de la Fondation universitaire et du Fonds de la Recherche scientifique – FNRS.
La revue publie dans les langues usuelles de la recherche (anglais, français, allemand, italien, espagnol…) des contributions originales, soumises préalablement à l’avis d’un Comité de lecture (avec experts internationaux) : articles accompagnés d’un résumé bilingue, mélanges, varia (courts articles et notes de lecture), chroniques (review articles synthétisant sur un thème les recherches actuelles) et des recensions critiques de 300 à 400 monographies parues récemment et représentatives de la production annuelle de la discipline. Cette politique scientifique et ce concept éditorial, voulus dès 1932 par les fondateurs (tous les grands savants belges de l’époque), reçurent un accueil favorable et immédiat des plus grandes institutions internationales. L’Antiquité Classique regroupe de manière statutaire les Universités
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MONTESQUIEU ET L´ANTIQUITÉ CLASSIQUE
Le texte ci-dessous est écrit par Catherine Volpilhac Auger, et ici nous trouvons un chercheur sur le travail des idées de Montesquieu sur l'antiquité. L'auteur nous raconte comment Montesquiueu était une connaissance approfondie des questions liées au sujet. (Par: scribe Valdemir Mota Menezes)
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Source:
http://dictionnaire-montesquieu.ens-lyon.fr/index.php?id=109
Antiquité (classique)
Catherine Volpilhac-Auger
1 Non seulement l’Antiquité est familière à Montesquieu, mais elle lui offre la matière même de sa réflexion : entre monde moderne et monde antique, il ne perçoit pas de discontinuité ni surtout de différence de statut — alors que Voltaire considère avec suspicion tout ce qu’ont transmis les auteurs antiques. Il est vrai que certaines notions sont inconnues aux anciens, comme la monarchie dotée d’un corps législatif formé des représentants des citoyens (EL, XI, 8) ou la distribution des pouvoirs dans une monarchie (EL, XI, 9) ; mais cela n’en permet que mieux l’observation ; c’est même le seul garant de la pertinence d’analyses qui ne doivent pas être issues d’un espace ou d’un temps donné, mais atteindre le plus haut niveau de généralité. À ce titre, l’histoire sans exemple, antérieur ou postérieur, des Romains, mérite tout particulièrement d’être étudiée, tandis que les républiques grecques constituent un excellent lieu d’étude des républiques, dont l’Europe contemporaine de Montesquieu offre peu d’exemples.
Ainsi Montesquieu applique ce qu’il annonce dans la Préface de L’Esprit des lois : « Quand j’ai été rappelé à l’Antiquité, j’ai cherché à en prendre l’esprit, pour ne pas regarder comme semblables des cas réellement différents, et ne pas manquer les différences de ceux qui paraissent semblables. » On voit particulièrement dans le livre XXIX de L’Esprit des lois comment Montesquieu joue de ces ressemblances et de ces écarts, en rapprochant pour mieux les distinguer une loi de Syracuse et le Système de Law, les substitutions chez les Romains et le même usage en France, le suicide dans les différents temps de l’Antiquité, les formalités de justice, etc. (chap. 6, 8, 9, 10).
2Les mœurs des Anciens constituent une matière particulièrement digne d’intérêt, et pas seulement leurs systèmes politiques ; elles offrent un certain nombre d’énigmes, que l’observateur moderne se contente de rejeter comme autant de preuves de l’irrationalité des peuples antiques, ou qu’il renonce à expliquer. Montesquieu se plaît à résoudre de telles difficultés : ainsi l’importance de la musique chez les Anciens (EL, IV, 8 : « Explication d’un paradoxe des anciens par rapport aux mœurs »), ou l’étonnante punition d’un Aréopagite coupable d’avoir tué un moineau (EL, V, 19) : « il ne s’agit point là d’une condamnation pour crime, mais d’un jugement de mœurs dans une république fondée sur les mœurs ». La géographie permet d’étonnants rapprochements, ou plutôt des contrastes, car l’esprit général peut être fort différent chez des peuples voisins : « On n’aurait pas plus tiré parti d’un Athénien en l’ennuyant, que d’un Lacédémonien en le divertissant. » (EL, XIX, 7).
C’est le fondement même de L’Esprit des lois, ou un de ses buts, que d’expliquer ce qui à première vue paraît inexplicable, contradictoire ou paradoxal. Encore faut-il partir du principe que les anciens Grecs ou les Romains n’étaient pas autres que les Européens de l’époque moderne, et qu’on peut appliquer à leurs institutions, si bizarres qu’elles puissent paraître (ainsi l’ostracisme, EL, XXVI, 17), un principe d’intelligibilité. C’est ce qui explique en particulier son intérêt pour Homère, qui à ses yeux n’est pas seulement grand poète : il introduit à un monde irréductiblement autre ; aussi est-ce en observateur de coutumes jugées à tort étranges voire aberrantes que Montesquieu prend des notes sur cet auteur (Rotta) ; d’où ces deux remarques typiques de l’intérêt qu’il lui porte : « Il me semble qu’Homère parle beaucoup plus des autres métaux que de l’argent ; et il me semble que l’or était chez eux plus en usage. Je ne vois guère qu’il parle de l’argent. » « On voit que les Grecs qui avoient d’autres mœurs et d’autres droits des gens que nous et une autre religion n’avaient pas la même idée de générosité que nous » (Bordeaux, BM, ms 2526/2, f. 5-6 ; OC, t. XVII, à paraître). Aussi est-ce l’étude des mœurs (nous dirions peut-être aujourd’hui « des mentalités ») qui lui donne la clé du destin des Romains ? C’est en tout cas ce que dit un projet de préface des Romains finalement rejeté : « On a cherché l’histoire des Romains dans leurs lois, dans leurs coutumes, dans leur police, dans les lettres des particuliers, dans leurs traités avec leurs voisins, dans les mœurs des peuples avec qui ils ont eu affaire […] » (OC, t. II, p. 315-316).
Un aspect a particulièrement retenu son attention : le « crime contre nature », plusieurs fois évoqué (EL, VII, 9 ; XII, 6) — sujet délicat pourtant que l’homosexualité, sévèrement condamnée au XVIIIe siècle ; Montesquieu, qui ne cherche pas à l’excuser dans des cités « où un vice aveugle régnait d’une manière effrénée, où l’amour n’avait qu’une forme » (VII, 9), s’efforce de le comprendre ; il a soin chaque fois de le replacer dans son contexte historique, social et politique, et s’autorise de Plutarque pour expliquer, dans un chapitre où il dénonce les « petites âmes » des femmes dans les monarchies, que celles-ci ont pu n’avoir « aucune part » au « vrai amour » en Grèce (ibid).
Volonté de comprendre des sociétés très éloignées chronologiquement ou géographiquement des sociétés modernes, et d’expliquer les unes par les autres : ce dessein anime toute l’œuvre de Montesquieu.
3Cela n’implique chez lui aucune idéalisation : faire crédit aux anciens n’est pas leur vouer une admiration religieuse, ou être dépourvu d’esprit critique. Bien au contraire, Montesquieu n’a de cesse de dénoncer la fourberie et la cruauté des Romains. Certes, ceux-ci peuvent apparaître comme de véritables modèles : « Je me trouve fort dans mes maximes, lorsque j'ai pour moi les Romains », commente Montesquieu quand il étudie les systèmes juridiques dans les divers gouvernements (EL, VI, 15). Mais s’il les admire, ce n’est en aucun cas sur le plan moral ; il est surtout sensible à l’admirable efficacité des Romains, à la manière dont ils vont à leur but avec une parfaite économie de moyens et une connaissance très sûre de leur intérêt.
Si l’on veut savoir comment un peuple peut arriver à ses fins, il faut examiner les Romains. Ainsi le passage de la monarchie à la république, que l’on a exalté comme venant de son aspiration à la liberté : « il devait arriver de deux choses l’une : ou que Rome changerait son gouvernement, ou qu’elle resterait une petite et pauvre monarchie. » (Romains, I). L’ambition de Rome étant clairement établie dès le départ, tout s’enclenche selon un processus qui ne s’arrêtera plus. De même, s’il est traditionnel, dans l’historiographie antique, de saluer la manière dont les Romains ont su adopter l’armement de leurs ennemis quand il est supérieur au leur, il est propre à Montesquieu de voir dans cette capacité d’adaptation un plan suivi.
Pour eux tous les moyens sont bons ; leur chute viendra de leur méconnaissance de leur intérêt commun, quand les armées, les empereurs, les sénateurs, le peuple, ne cherchent plus que leur intérêt particulier — ce qui arrive quand ils se font conquérants, ou plutôt quand la conquête déborde de l’Italie, voire des limites de leur petite province : or leur vocation était justement d’être conquérants, puisqu’ils étaient toujours en guerre contre leurs voisins… C’est pourquoi les Romains méritent d’être connus : parce qu’on en tire une véritable connaissance de la guerre et de la politique, et qu’en parlant des Romains, on peut parler de problèmes tout à fait contemporains sans risquer une censure.
4Mais il est d’autres aspects qui attirent Montesquieu, comme l’art antique qu’il a découvert en Italie (néanmoins les fouilles d’Herculanum n’étaient pas encore entreprises, et il n’a pu faire les mêmes observations que le président de Brosses quelques années plus tard). C’est ce qu’évoquent ses Voyages (OC, t. X, à paraître) et De la manière gothique (OC, t. VIII), où Montesquieu s’interroge sur les raisons pour lesquelles les Grecs sont parvenus à la perfection en matière de sculpture. Les techniques antiques, comme tout ce qui a été perdu en fait d’œuvres et de pensée, retiennent son attention, car on pourrait espérer reconstituer cette maîtrise oubliée. À Florence, la galerie du Grand-Duc lui offre maint sujet d’admiration et de réflexion.
5Est-ce de littérature ou d’art qu’il parle ? « J’avoue qu’une des choses qui m’a le plus charmé dans les ouvrages des anciens, c’est qu’ils attrapent en même temps le grand et le simple ; au lieu qu’il arrive presque toujours que nos modernes, en cherchant le grand, perdent le simple, ou, en cherchant le simple, perdent le grand. Il me semble que je vois dans les uns, de belles et vastes campagnes, avec leur simplicité, et dans les autres, les jardins d’un homme riche, avec des bosquets et des parterres. » (Pensées, n° 117). Cette aptitude au sublime provient d’une « naïveté » qui, elle, semble désormais hors d’atteinte. La disparition du paganisme a entraîné un affaiblissement de la poésie (Martin 2007) : « Nous devons à la vie champêtre que l’homme menait dans les premiers temps cet air riant répandu dans toute la fable.
Nous lui devons ces descriptions heureuses, ces aventures naïves, ces divinités gracieuses, ce spectacle d’un état assez différent du nôtre pour le désirer, et qui n’en est pas assez éloigné pour choquer la vraisemblance ; enfin, ce mélange de passions et de tranquillité. Notre imagination rit à Diane, à Pan, à Apollon, aux Nymphes, aux bois, aux prés, aux fontaines. Si les premiers hommes avaient vécu comme nous dans les villes, les poètes n’auraient pu nous décrire que ce que nous voyons tous les jours avec inquiétude, ou que nous sentons avec dégoût. » (Pensées, n° 108, passage repris dans l’Essai sur le goût ; voir aussi nos 112, 114, 115).
Sa lecture des poètes se poursuit tard dans sa vie : c’est après la publication de L’Esprit des lois qu’il prend des notes soigneuses sur Homère, où il trouve non seulement matière à une véritable histoire des mentalités, comme on l’a dit, mais aussi où, à la suite de Pope, il admire la diversité des caractères (Martin 2005). Il unit dans la même admiration Virgile et Fénelon, montrant ainsi qu’il est loin de prêter allégeance aux anciens, et que dans la Querelle il se garde bien d’adopter une position purement doctrinale (Martin 2005).
6On pourrait évidemment étudier chacun des aspects de cette immense littérature antique qu’il connaît si bien (voir l’article « Écrivains latins »). Pour la poésie ne parlons que d’Ovide, chez lequel il ne voit « rien [à] retrancher », car il n’a pas « trop d’esprit », comme on le dit souvent à son époque (Pensées, n° 2180) ; ou encore de Lucrèce, dont il cite l’invocation à Vénus au début du livre XXIII de L’Esprit des lois, consacré à la « population » — comme l’Invocation aux Muses, ce passage ne figure pas dans le manuscrit antérieur à la publication, et il a toute chance d’avoir été ajouté lui aussi dans la toute dernière phase de rédaction (1747), quand Montesquieu éprouve le besoin de délasser son lecteur et de renforcer la dimension « poétique » de son œuvre. L’histoire est évidemment son domaine de prédilection, depuis Florus, qui servait de base à l’Historia romana qui lui fut dictée quand il était au collège (OC, t. VIII), mais surtout maintes fois cité dans l’Essai sur le goût pour son goût de la formule bien frappée, jusqu’à Tacite, son guide aussi bien pour les fondements de la société germanique (et donc de la monarchie française, qui s’enracine dans la nation franque) que pour la dénonciation de la loi de lèse-majesté sous Tibère.
La philosophie est au XVIIIe siècle plus latine que grecque, et Montesquieu n’a garde de trop accorder à la métaphysique ; il retient surtout d’Aristote et de Platon leur dimension politique, préférant relire les auteurs latins, Sénèque — un peu — et Cicéron — beaucoup. Ce dernier est à coup sûr l’auteur le plus admiré par Montesquieu, car il fut à la fois homme d’action et philosophe, et quel philosophe ! Celui qui ne se laisse impressionner par aucune « secte » philosophique, et les renvoie toutes dos à dos (Notes sur Cicéron, OC, t. XVII, à paraître, et Discours sur Cicéron, OC, t. IX), et qui fut lui-même un stoïcien, parmi les plus remarquables (Larrère).
Mais il fut aussi homme d’État, et tout simplement homme, avec ses faiblesses, comme ceux de son temps : « On peut voir dans les lettres de quelques grands hommes de ce temps-là, qu’on a mises sous le nom de Cicéron parce que la plupart sont de lui, l’abattement et le désespoir des premiers hommes de la République à cette révolution subite, qui les priva de leurs honneurs et de leurs occupations mêmes, lorsque, le Sénat étant sans fonctions, ce crédit qu’ils avaient eu par toute la terre, ils ne purent plus l’espérer que dans le cabinet d’un seul. Et cela se voit bien mieux dans ces lettres que dans les discours des historiens : elles sont le chef-d’œuvre de la naïveté de gens unis par une douleur commune et d’un siècle où la fausse politesse n’avait pas mis le mensonge partout ; enfin, on n’y voit point, comme dans la plupart de nos lettres modernes, des gens qui veulent se tromper, mais des amis malheureux qui cherchent à se tout dire. » (Romains, XI). Cette familiarité qui introduit au cœur de l’histoire, c’est celle qui a permis à Montesquieu de prendre cette distance nécessaire à son entreprise dans les Romains comme dans L’Esprit des lois, et qui lui a permis de prendre « l’esprit » de l’Antiquité.
Bibliographie
Catherine Volpilhac-Auger, Tacite et Montesquieu, SVEC, 1985.
—, « L’image d’Auguste dans les Considérations », dans Storia e ragione A. Postigliola éd., Napoli, Liguori, 1986, p. 159-168.
—, Tacite en France de Montesquieu à Chateaubriand, SVEC, 1993.
Patrick Andrivet, « Montesquieu et Cicéron : de l’enthousiasme à la sagesse », Mélanges offerts à Jean Ehrard, Paris, Nizet, 1992, p. 25-34.
Patrick Andrivet, Représentations politiques de l’ancienne Rome des débuts de l’âge classique à la Révolution, thèse (4e partie), Clermont-Ferrand, 1993.
Salvatore Rotta, « L’Homère de Montesquieu », Homère en France après la Querelle, 1715-1900, éd. F. Létoublon et C. Volpilhac-Auger, Paris, Champion, 1999, p. 141-149.
C. Larrère, « Le stoïcisme dans les œuvres de jeunesse de Montesquieu », Cahiers Montesquieu 5, 1999, p. 163-183.
Vanessa de Senarclens, Montesquieu historien de Rome. Un tournant pour la réflexion sur le statut de l’histoire au XVIII e siècle, Genève, Droz, 2003.
Christophe Martin, « Une apologétique « moderne » des Anciens : la querelle d’Homère dans les Pensées de Montesquieu », Revue Montesquieu 7, 2003-2004, p. 67-83. Disponible sur Internet : http://montesquieu.ens-lsh.fr/IMG/pdf/RM07/RM07_Martin_p.185-193.pdf (consulté le 26/11/2007).
Christophe Martin, « ‘L’esprit parleur’. Notes de lecture de Montesquieu sur Homère, Virgile, Fénelon et quelques autres », dans Montesquieu, œuvre ouverte ? (1748-1755), éd. C. Larrère, Cahiers Montesquieu 9, 2005, p. 271-291.
Pierre Rétat éd., De la manière gothique, OC, t. IX, 2006, p. 83-101.
Christophe Martin, « ‘Nos mœurs et notre religion manquent à l’esprit poétique’. La poésie des ‘temps héroïques’ selon Montesquieu », Du goût à l’esthétique : Montesquieu, éd. J. Ehrard et C. Volpilhac-Auger, Bordeaux, Presses universitaires de Bordeaux, 2007, p. 79-103.
Pour citer
Catherine VOLPILHAC-AUGER, «Antiquité (classique)», Dictionnaire électronique Montesquieu [En ligne], mis à jour le : 14/02/2008, URL : http://dictionnaire-montesquieu.ens-lyon.fr/index.php?id=109.
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Source:
http://dictionnaire-montesquieu.ens-lyon.fr/index.php?id=109
Antiquité (classique)
Catherine Volpilhac-Auger
1 Non seulement l’Antiquité est familière à Montesquieu, mais elle lui offre la matière même de sa réflexion : entre monde moderne et monde antique, il ne perçoit pas de discontinuité ni surtout de différence de statut — alors que Voltaire considère avec suspicion tout ce qu’ont transmis les auteurs antiques. Il est vrai que certaines notions sont inconnues aux anciens, comme la monarchie dotée d’un corps législatif formé des représentants des citoyens (EL, XI, 8) ou la distribution des pouvoirs dans une monarchie (EL, XI, 9) ; mais cela n’en permet que mieux l’observation ; c’est même le seul garant de la pertinence d’analyses qui ne doivent pas être issues d’un espace ou d’un temps donné, mais atteindre le plus haut niveau de généralité. À ce titre, l’histoire sans exemple, antérieur ou postérieur, des Romains, mérite tout particulièrement d’être étudiée, tandis que les républiques grecques constituent un excellent lieu d’étude des républiques, dont l’Europe contemporaine de Montesquieu offre peu d’exemples.
Ainsi Montesquieu applique ce qu’il annonce dans la Préface de L’Esprit des lois : « Quand j’ai été rappelé à l’Antiquité, j’ai cherché à en prendre l’esprit, pour ne pas regarder comme semblables des cas réellement différents, et ne pas manquer les différences de ceux qui paraissent semblables. » On voit particulièrement dans le livre XXIX de L’Esprit des lois comment Montesquieu joue de ces ressemblances et de ces écarts, en rapprochant pour mieux les distinguer une loi de Syracuse et le Système de Law, les substitutions chez les Romains et le même usage en France, le suicide dans les différents temps de l’Antiquité, les formalités de justice, etc. (chap. 6, 8, 9, 10).
2Les mœurs des Anciens constituent une matière particulièrement digne d’intérêt, et pas seulement leurs systèmes politiques ; elles offrent un certain nombre d’énigmes, que l’observateur moderne se contente de rejeter comme autant de preuves de l’irrationalité des peuples antiques, ou qu’il renonce à expliquer. Montesquieu se plaît à résoudre de telles difficultés : ainsi l’importance de la musique chez les Anciens (EL, IV, 8 : « Explication d’un paradoxe des anciens par rapport aux mœurs »), ou l’étonnante punition d’un Aréopagite coupable d’avoir tué un moineau (EL, V, 19) : « il ne s’agit point là d’une condamnation pour crime, mais d’un jugement de mœurs dans une république fondée sur les mœurs ». La géographie permet d’étonnants rapprochements, ou plutôt des contrastes, car l’esprit général peut être fort différent chez des peuples voisins : « On n’aurait pas plus tiré parti d’un Athénien en l’ennuyant, que d’un Lacédémonien en le divertissant. » (EL, XIX, 7).
C’est le fondement même de L’Esprit des lois, ou un de ses buts, que d’expliquer ce qui à première vue paraît inexplicable, contradictoire ou paradoxal. Encore faut-il partir du principe que les anciens Grecs ou les Romains n’étaient pas autres que les Européens de l’époque moderne, et qu’on peut appliquer à leurs institutions, si bizarres qu’elles puissent paraître (ainsi l’ostracisme, EL, XXVI, 17), un principe d’intelligibilité. C’est ce qui explique en particulier son intérêt pour Homère, qui à ses yeux n’est pas seulement grand poète : il introduit à un monde irréductiblement autre ; aussi est-ce en observateur de coutumes jugées à tort étranges voire aberrantes que Montesquieu prend des notes sur cet auteur (Rotta) ; d’où ces deux remarques typiques de l’intérêt qu’il lui porte : « Il me semble qu’Homère parle beaucoup plus des autres métaux que de l’argent ; et il me semble que l’or était chez eux plus en usage. Je ne vois guère qu’il parle de l’argent. » « On voit que les Grecs qui avoient d’autres mœurs et d’autres droits des gens que nous et une autre religion n’avaient pas la même idée de générosité que nous » (Bordeaux, BM, ms 2526/2, f. 5-6 ; OC, t. XVII, à paraître). Aussi est-ce l’étude des mœurs (nous dirions peut-être aujourd’hui « des mentalités ») qui lui donne la clé du destin des Romains ? C’est en tout cas ce que dit un projet de préface des Romains finalement rejeté : « On a cherché l’histoire des Romains dans leurs lois, dans leurs coutumes, dans leur police, dans les lettres des particuliers, dans leurs traités avec leurs voisins, dans les mœurs des peuples avec qui ils ont eu affaire […] » (OC, t. II, p. 315-316).
Un aspect a particulièrement retenu son attention : le « crime contre nature », plusieurs fois évoqué (EL, VII, 9 ; XII, 6) — sujet délicat pourtant que l’homosexualité, sévèrement condamnée au XVIIIe siècle ; Montesquieu, qui ne cherche pas à l’excuser dans des cités « où un vice aveugle régnait d’une manière effrénée, où l’amour n’avait qu’une forme » (VII, 9), s’efforce de le comprendre ; il a soin chaque fois de le replacer dans son contexte historique, social et politique, et s’autorise de Plutarque pour expliquer, dans un chapitre où il dénonce les « petites âmes » des femmes dans les monarchies, que celles-ci ont pu n’avoir « aucune part » au « vrai amour » en Grèce (ibid).
Volonté de comprendre des sociétés très éloignées chronologiquement ou géographiquement des sociétés modernes, et d’expliquer les unes par les autres : ce dessein anime toute l’œuvre de Montesquieu.
3Cela n’implique chez lui aucune idéalisation : faire crédit aux anciens n’est pas leur vouer une admiration religieuse, ou être dépourvu d’esprit critique. Bien au contraire, Montesquieu n’a de cesse de dénoncer la fourberie et la cruauté des Romains. Certes, ceux-ci peuvent apparaître comme de véritables modèles : « Je me trouve fort dans mes maximes, lorsque j'ai pour moi les Romains », commente Montesquieu quand il étudie les systèmes juridiques dans les divers gouvernements (EL, VI, 15). Mais s’il les admire, ce n’est en aucun cas sur le plan moral ; il est surtout sensible à l’admirable efficacité des Romains, à la manière dont ils vont à leur but avec une parfaite économie de moyens et une connaissance très sûre de leur intérêt.
Si l’on veut savoir comment un peuple peut arriver à ses fins, il faut examiner les Romains. Ainsi le passage de la monarchie à la république, que l’on a exalté comme venant de son aspiration à la liberté : « il devait arriver de deux choses l’une : ou que Rome changerait son gouvernement, ou qu’elle resterait une petite et pauvre monarchie. » (Romains, I). L’ambition de Rome étant clairement établie dès le départ, tout s’enclenche selon un processus qui ne s’arrêtera plus. De même, s’il est traditionnel, dans l’historiographie antique, de saluer la manière dont les Romains ont su adopter l’armement de leurs ennemis quand il est supérieur au leur, il est propre à Montesquieu de voir dans cette capacité d’adaptation un plan suivi.
Pour eux tous les moyens sont bons ; leur chute viendra de leur méconnaissance de leur intérêt commun, quand les armées, les empereurs, les sénateurs, le peuple, ne cherchent plus que leur intérêt particulier — ce qui arrive quand ils se font conquérants, ou plutôt quand la conquête déborde de l’Italie, voire des limites de leur petite province : or leur vocation était justement d’être conquérants, puisqu’ils étaient toujours en guerre contre leurs voisins… C’est pourquoi les Romains méritent d’être connus : parce qu’on en tire une véritable connaissance de la guerre et de la politique, et qu’en parlant des Romains, on peut parler de problèmes tout à fait contemporains sans risquer une censure.
4Mais il est d’autres aspects qui attirent Montesquieu, comme l’art antique qu’il a découvert en Italie (néanmoins les fouilles d’Herculanum n’étaient pas encore entreprises, et il n’a pu faire les mêmes observations que le président de Brosses quelques années plus tard). C’est ce qu’évoquent ses Voyages (OC, t. X, à paraître) et De la manière gothique (OC, t. VIII), où Montesquieu s’interroge sur les raisons pour lesquelles les Grecs sont parvenus à la perfection en matière de sculpture. Les techniques antiques, comme tout ce qui a été perdu en fait d’œuvres et de pensée, retiennent son attention, car on pourrait espérer reconstituer cette maîtrise oubliée. À Florence, la galerie du Grand-Duc lui offre maint sujet d’admiration et de réflexion.
5Est-ce de littérature ou d’art qu’il parle ? « J’avoue qu’une des choses qui m’a le plus charmé dans les ouvrages des anciens, c’est qu’ils attrapent en même temps le grand et le simple ; au lieu qu’il arrive presque toujours que nos modernes, en cherchant le grand, perdent le simple, ou, en cherchant le simple, perdent le grand. Il me semble que je vois dans les uns, de belles et vastes campagnes, avec leur simplicité, et dans les autres, les jardins d’un homme riche, avec des bosquets et des parterres. » (Pensées, n° 117). Cette aptitude au sublime provient d’une « naïveté » qui, elle, semble désormais hors d’atteinte. La disparition du paganisme a entraîné un affaiblissement de la poésie (Martin 2007) : « Nous devons à la vie champêtre que l’homme menait dans les premiers temps cet air riant répandu dans toute la fable.
Nous lui devons ces descriptions heureuses, ces aventures naïves, ces divinités gracieuses, ce spectacle d’un état assez différent du nôtre pour le désirer, et qui n’en est pas assez éloigné pour choquer la vraisemblance ; enfin, ce mélange de passions et de tranquillité. Notre imagination rit à Diane, à Pan, à Apollon, aux Nymphes, aux bois, aux prés, aux fontaines. Si les premiers hommes avaient vécu comme nous dans les villes, les poètes n’auraient pu nous décrire que ce que nous voyons tous les jours avec inquiétude, ou que nous sentons avec dégoût. » (Pensées, n° 108, passage repris dans l’Essai sur le goût ; voir aussi nos 112, 114, 115).
Sa lecture des poètes se poursuit tard dans sa vie : c’est après la publication de L’Esprit des lois qu’il prend des notes soigneuses sur Homère, où il trouve non seulement matière à une véritable histoire des mentalités, comme on l’a dit, mais aussi où, à la suite de Pope, il admire la diversité des caractères (Martin 2005). Il unit dans la même admiration Virgile et Fénelon, montrant ainsi qu’il est loin de prêter allégeance aux anciens, et que dans la Querelle il se garde bien d’adopter une position purement doctrinale (Martin 2005).
6On pourrait évidemment étudier chacun des aspects de cette immense littérature antique qu’il connaît si bien (voir l’article « Écrivains latins »). Pour la poésie ne parlons que d’Ovide, chez lequel il ne voit « rien [à] retrancher », car il n’a pas « trop d’esprit », comme on le dit souvent à son époque (Pensées, n° 2180) ; ou encore de Lucrèce, dont il cite l’invocation à Vénus au début du livre XXIII de L’Esprit des lois, consacré à la « population » — comme l’Invocation aux Muses, ce passage ne figure pas dans le manuscrit antérieur à la publication, et il a toute chance d’avoir été ajouté lui aussi dans la toute dernière phase de rédaction (1747), quand Montesquieu éprouve le besoin de délasser son lecteur et de renforcer la dimension « poétique » de son œuvre. L’histoire est évidemment son domaine de prédilection, depuis Florus, qui servait de base à l’Historia romana qui lui fut dictée quand il était au collège (OC, t. VIII), mais surtout maintes fois cité dans l’Essai sur le goût pour son goût de la formule bien frappée, jusqu’à Tacite, son guide aussi bien pour les fondements de la société germanique (et donc de la monarchie française, qui s’enracine dans la nation franque) que pour la dénonciation de la loi de lèse-majesté sous Tibère.
La philosophie est au XVIIIe siècle plus latine que grecque, et Montesquieu n’a garde de trop accorder à la métaphysique ; il retient surtout d’Aristote et de Platon leur dimension politique, préférant relire les auteurs latins, Sénèque — un peu — et Cicéron — beaucoup. Ce dernier est à coup sûr l’auteur le plus admiré par Montesquieu, car il fut à la fois homme d’action et philosophe, et quel philosophe ! Celui qui ne se laisse impressionner par aucune « secte » philosophique, et les renvoie toutes dos à dos (Notes sur Cicéron, OC, t. XVII, à paraître, et Discours sur Cicéron, OC, t. IX), et qui fut lui-même un stoïcien, parmi les plus remarquables (Larrère).
Mais il fut aussi homme d’État, et tout simplement homme, avec ses faiblesses, comme ceux de son temps : « On peut voir dans les lettres de quelques grands hommes de ce temps-là, qu’on a mises sous le nom de Cicéron parce que la plupart sont de lui, l’abattement et le désespoir des premiers hommes de la République à cette révolution subite, qui les priva de leurs honneurs et de leurs occupations mêmes, lorsque, le Sénat étant sans fonctions, ce crédit qu’ils avaient eu par toute la terre, ils ne purent plus l’espérer que dans le cabinet d’un seul. Et cela se voit bien mieux dans ces lettres que dans les discours des historiens : elles sont le chef-d’œuvre de la naïveté de gens unis par une douleur commune et d’un siècle où la fausse politesse n’avait pas mis le mensonge partout ; enfin, on n’y voit point, comme dans la plupart de nos lettres modernes, des gens qui veulent se tromper, mais des amis malheureux qui cherchent à se tout dire. » (Romains, XI). Cette familiarité qui introduit au cœur de l’histoire, c’est celle qui a permis à Montesquieu de prendre cette distance nécessaire à son entreprise dans les Romains comme dans L’Esprit des lois, et qui lui a permis de prendre « l’esprit » de l’Antiquité.
Bibliographie
Catherine Volpilhac-Auger, Tacite et Montesquieu, SVEC, 1985.
—, « L’image d’Auguste dans les Considérations », dans Storia e ragione A. Postigliola éd., Napoli, Liguori, 1986, p. 159-168.
—, Tacite en France de Montesquieu à Chateaubriand, SVEC, 1993.
Patrick Andrivet, « Montesquieu et Cicéron : de l’enthousiasme à la sagesse », Mélanges offerts à Jean Ehrard, Paris, Nizet, 1992, p. 25-34.
Patrick Andrivet, Représentations politiques de l’ancienne Rome des débuts de l’âge classique à la Révolution, thèse (4e partie), Clermont-Ferrand, 1993.
Salvatore Rotta, « L’Homère de Montesquieu », Homère en France après la Querelle, 1715-1900, éd. F. Létoublon et C. Volpilhac-Auger, Paris, Champion, 1999, p. 141-149.
C. Larrère, « Le stoïcisme dans les œuvres de jeunesse de Montesquieu », Cahiers Montesquieu 5, 1999, p. 163-183.
Vanessa de Senarclens, Montesquieu historien de Rome. Un tournant pour la réflexion sur le statut de l’histoire au XVIII e siècle, Genève, Droz, 2003.
Christophe Martin, « Une apologétique « moderne » des Anciens : la querelle d’Homère dans les Pensées de Montesquieu », Revue Montesquieu 7, 2003-2004, p. 67-83. Disponible sur Internet : http://montesquieu.ens-lsh.fr/IMG/pdf/RM07/RM07_Martin_p.185-193.pdf (consulté le 26/11/2007).
Christophe Martin, « ‘L’esprit parleur’. Notes de lecture de Montesquieu sur Homère, Virgile, Fénelon et quelques autres », dans Montesquieu, œuvre ouverte ? (1748-1755), éd. C. Larrère, Cahiers Montesquieu 9, 2005, p. 271-291.
Pierre Rétat éd., De la manière gothique, OC, t. IX, 2006, p. 83-101.
Christophe Martin, « ‘Nos mœurs et notre religion manquent à l’esprit poétique’. La poésie des ‘temps héroïques’ selon Montesquieu », Du goût à l’esthétique : Montesquieu, éd. J. Ehrard et C. Volpilhac-Auger, Bordeaux, Presses universitaires de Bordeaux, 2007, p. 79-103.
Pour citer
Catherine VOLPILHAC-AUGER, «Antiquité (classique)», Dictionnaire électronique Montesquieu [En ligne], mis à jour le : 14/02/2008, URL : http://dictionnaire-montesquieu.ens-lyon.fr/index.php?id=109.
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